mercoledì 12 settembre 2012

La ministronza

Avevo solo otto anni, tutte le mie compagne di scuola andavano a danza, potevo io tirarmi indietro? Ma mai nella vita! Quindi, armata della calzamaglia color carne, le ballerine e il body rosa, i capelli raccolti in uno chignon feci il mio ingresso in società. La stanza aveva un odore acre, di borotalco misto a sudore (e chi se la dimentica la frase storica del telefim Saranno Famosi pronunciata dall'insegnante di danza Lydia Grant “Perché è qui che si comincia a pagare: col sudore”), quindi ero nel posto giusto.
Diventai molto amica di una delle compagne di corso, che mi correggeva in tutto quello che facevo, e i piedi in seconda non si mettono così, e alla sbarra si sta composte, e il plié e 'sti cazzi, ma veramente per un'ora e mezza tocca sta' attaccate a un palo di legno orizzontale muovendo i piedi davanti poi di lato poi dietro, e poi via altro giro altra corsa? Ebbene sì. E io ci provai con tutta me stessa perché adoravo stare con quella che io pensavo fosse la mia migliore amica.
Solo che invece di stare alla sbarra rincorrevo le bimbe, saltellavo come un grillo, e allora la mia fedele stronzamica che non sopportava più la mia presenza alla lezione – perché disturbavo – cominciò a segnalare ogni mio sgarro alla maestra (che sembrava Alessandra Celentano di Amici incattivita, probabilmente avrebbe voluto essere alla Scala mica con venti bimbette urlanti).
La maestrina viaggiava con un asticella di legno, e per ogni parola proferita ( durante la lezione c'era il divieto assoluto di proferire parola, figuriamoci: non sono mai riuscita a stare zitta per più di due minuti, immaginatevi per un'ora e mezza!) bacchettava le colpevoli.
E bacchetta oggi, bacchetta domani, ormai ero diventata la pecora nera, il massimo dell'umiliazione lo raggiunsi quando la signorina (perché la maestra era zitella e pure acida) mi prese ad esempio in negativo per far capire alle altre cosa non si doveva fare, e invece prese a modello positivo la mia cara stronzamica che, tronfia del suo nuovo status, sentenziò ad alta voce: “Io ci ho anche provato a migliorarla, ma è davvero impossibile maestra!”, sorriso Durbans e stellina che suona alla fine della dentiera.

Da allora lei diventò la preferita della maestra e non mi parlò più, io dal canto mio cambiai sport, mi diedi alla pallamano, anche con buoni risultati, ero portiere, solo che giocando con i maschi per parare un rigore mi feci un occhio nero. Fu la mia fine dal punto di vista sociale, bollata da tutte le stronzamiche ballerine come maschiaccio, cercavo il fioretto che probabilmente mio papà mi aveva messo in culla (dalla sigla di Lady Oscar: “Il buon padre voleva un maschietto, ma ahimè sei nata tu, nella culla ti ha messo un fioretto Lady dal fiocco blu”) e seguendo il mio lato zen mi ero seduta sul fiume ad aspettare che passassero i cadaveri delle stronze (“Siediti lungo la riva del fiume e aspetta, prima o poi vedrai passare il cadavere del tuo nemico”).
Naturalmente, dopo un tempo relativamente breve, non essendo dotata di elevate dosi di pazienza cominciai a chiedermi: ma siamo sicuri che prima o poi questi cadaveri passeranno nel fiume? Punto primo: ma quanto cacchio ci si deve stare seduti lungo il fiume? E se poi il corso è quello sbagliato? Non è meglio buttarceli direttamente noi nel fiume? Così risparmiamo tutti tempo.
E così elaborai la mia vendetta. Immediata e soddisfacente. Il giorno del saggio mi infilai nel guardaroba e armata di forbici tagliai tutto il suo tutù da principessa del lago dei cigni.
Pan per focaccia si dice, oppure chi la fa l'aspetti: lei ballò lo stesso il saggio, ma con un semplicissimo tutù bianco che non la fece spiccare come lei avrebbe voluto e io ebbi la mia vendetta.

E cari terapeuti, sarà anche un comportamento sbagliato, e da non emulare, ma da quel momento la stronzamica mi rispettò come mai aveva fatto, e riuscii a togliermi il marchio che lei stessa mi aveva affibbiato, facendo mio quello che poi mi avrebbe accompagnato negli anni: Irena la iena (però buona eh, iena solo dopo che le pestano i piedi, magari anche più di una volta).
Irene




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